La miglior tutela per la nostra professione è la promozione
Nonostante l’evoluzione della società e il progresso scientifico, attualmente nell’immaginario collettivo di molte persone, purtroppo, lo psicologo è ancora conosciuto come lo «strizzacervelli», il «medico dei matti». Per molti infatti (ma fortunatamente non per tutti!), il dover ricorrere a consulenze psicologiche e psicoterapie è considerato «anormale», o comunque qualcosa da nascondere per paura del giudizio altrui (ecco perché per molti colleghi oggi è molto difficile farsi pubblicità attraverso il passaparola!),
Ripensando alla mia esperienza clinica, mi vengono in mente situazioni alquanto grottesche e bizzarre capitate con alcuni pazienti. Una volta uno di loro mi ha contattata perché voleva mandarmi un suo amico e la prima cosa che mi ha raccomandato al telefono, fu quella di evitare di dire che ero una psicoterapeuta: «Dottoressa, gli potrebbe eventualmente dire di essere una counselor? Altrimenti poi lui si spaventa e decide di non venire”. In un’altra circostanza, una paziente donna di trent’anni mi ha chiesto espressamente se, per cortesia, avrei potuto non scrivere «sedute di psicoterapia» sulla fattura, ma piuttosto «colloqui di coaching», perché non voleva che la sua commercialista sapesse i fatti suoi o la considerasse una persona «problematica».
Friedrich Nietzsche diceva che, se lasciamo che gli altri si ingannino su di noi, «significa che non siamo fieri della nostra unicità». Non possiamo quindi permettere che accadano situazioni di questo tipo, ma dato che succedono, forse dovremmo iniziare ad interrogarci su qual è l’immagine che diamo della nostra professione e su cosa le persone pensano realmente riguardo al nostro lavoro. Potremmo continuare negli anni ad ingaggiare estenuanti battaglie legali contro counselor, coach, mediatori e altre professioni affini, ma penso che questo, oltre a non darci certezza di vittoria, non ci libererebbe sicuramente dai problemi che derivano da pregiudizi, stereotipi e dalla nostra «stigmatizzazione sociale».
Solo una corretta diffusione della cultura psicologica può diventare allora un’arma vincente, anche perché esistono troppe persone che, ancora oggi, non hanno compreso veramente ciò che facciamo. Molti pensano che lo psicologo e lo psicoterapeuta si occupino solamente di malattie mentali gravi, patologie invalidanti e solo in pochi sanno che possono essere d’aiuto invece, nell’affrontare difficoltà relazionali di ogni genere e tipo (lavoro, coppia, famiglia), nel superare i traumi, elaborare i lutti ecc… Ma soprattutto, in molti ancora non hanno chiaro il fatto che un sostegno psicologico possa davvero contribuire a migliorare la qualità della vita di molte persone.
Per tre anni consecutivi, dal 2010 al 2013, ho coordinato, per conto di OPL, il progetto «Partnership ed eventi», le cui finalità erano quelle di riuscire a creare collaborazioni e sinergie con varie realtà, per realizzare eventi di promozione in favore della psicologia e della figura dello psicologo.
Durante questa esperienza, mi sono resa conto di come sia importante per lo psicologo essere presente e farsi conoscere nella società attuale. Manifestazioni, fiere, eventi possono rappresentare delle buone occasioni in cui mostrare cosa realmente sappiamo fare, far conoscere i vari ambiti di applicazione della psicologia, ma soprattutto, il valore aggiunto che uno psicologo può apportare a vari livelli all’interno della collettività. Momenti come il Salone dello Studente, G! Come giocare, Mamme in Radio, Fa la cosa giusta si sono rivelati così un’ottima vetrina, un’opportunità vantaggiosa per la nostra visibilità a livello sociale. Situazioni in cui è stato possibile mostrare come lo psicologo non sia solamente un «esperto che cura i malati di mente», ma anche una figura in grado di aiutare le persone ad orientarsi, rafforzarsi e a renderle efficaci nella soluzione delle proprie problematiche emotive, professionali e relazionali.
Credo che un Ordine Professionale dovrebbe occuparsi soprattutto di questo. Creare partnership e collaborazioni, essere presente in maniera attiva nella società e all’interno di avvenimenti culturali che riguardino il proprio territorio di appartenenza.
Piuttosto che «dare la caccia alle streghe», dovremmo quindi forse domandarci come rendere la nostra immagine pubblica più accessibile, appetibile e vincente, perché il nostro unico, vero, grande nemico non sono l’insieme delle professioni «altre», ma la disinformazione.
L’unica strategia, in grado di tutelare davvero la nostra professione allora, non può passare che attraverso la promozione, perché è solo facendoci conoscere che riusciremo realmente a far capire quanto può essere ricco e diversificato il nostro lavoro.
Chiara Ratto