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Quale occupabilità per gli psicologi oggi

Scritto da Stefano Gheno il 23/05/2014

lavoro-415x260Sono davanti agli occhi di tutti i dati estremamente preoccupanti sull’occupazione nel nostro paese. La crisi del mercato del lavoro colpisce tutte le categorie, accanendosi in particolare sugli over 50 e, ancor più drammaticamente, sui giovani. In particolare per questi ultimi, la laurea costituisce ancora una risorsa importante per l’occupazione, anche se non tutte le lauree valgono allo stesso modo.

Nella nostra categoria la situazione occupazionale è comunque difficoltosa, anche se alcuni dati sembrano consentire un cauto ottimismo circa le possibilità d’impiego per gli psicologi, la percezione diffusa è che essere psicologi, averne cioè il titolo, e fare gli psicologi, produrre cioè reddito professionale utilizzando il suddetto titolo, siano due condizioni frequentemente distanti.

A tale percezione si accompagna, di frequente, un vissuto di ingiustizia e di scoraggiamento, che trovano facile eco in istanze di rivalsa verso altre categorie ritenute a torto o a ragione responsabili della situazione. Senza entrare nel merito delle responsabilità delle professioni “affini” nel depotenziare l’occupabilità degli psicologi, francamente difficili da dimostrare, vorrei qui proporre alcune possibili strade per rafforzarla.

Conoscere il mercato. La prima strada è inevitabilmente una strada di conoscenza: per agire efficacemente è sempre necessario sapere da dove si parte e dove si vuole andare. Il mercato delle professioni di relazione e d’aiuto non è affatto in crisi, la domanda è forte – anche se spesso non appare con tutta la sua evidenza – tanto è vero che i professionisti in questo settore aumentano. Dobbiamo domandarci quanto gli psicologi sappiano porsi in questo mercato evidenziando la propria ricchezza professionale ed il valore aggiunto che portano. In questa prospettiva si collocano le strategie di self marketing e di employer branding a cui oggi non possiamo più sottrarci.

Una nuova idea di tutela. Possiamo tutelare la psicologia e gli psicologi secondo due differenti approcci: il primo, che va per la maggiore in certi ambienti, è totalmente appiattito su di una difesa corporativa della professione, un secondo, non nega la necessità di vigilare su rispetto delle norme che ordinano la professione, ma si concentra di più sullo sviluppo di competenze distintive e sull’esplicitazione e diffusione del valore aggiunto portato dalla psicologia professionale nell’ambito della relazione d’aiuto. Potremmo definirla, in analogia con le politiche attive del lavoro, una tutela attiva della professione.

Dismettere i recinti, allargare i confini. Questo ci porta all’ultima questione, fatto salvo l’evidente e necessario rispetto delle norme che, nel nostro paese, fanno della psicologia una professione ordinata e riservata, è sempre più necessario sviluppare una capacità di relazione professionale che vada verso strategie di co-working anche nell’ambito della psicologia. Questo è evidentemente possibile se consideriamo gli altri professionisti una risorsa e non un ostacolo alla nostra attività.

Proverò prossimamente a dettagliare ulteriormente i fattori più incidenti per lo sviluppo di una nuova employability degli psicologi, qui concludo consapevole che alcuni definiranno le prospettive da me suggerite una “svendita della professione”, se devo guardare alla esperienza professionale mia e dei miei soci è esattamente il contrario.

 

Stefano Gheno, socio fondatore di Professione Psicologo

Docente di psicologia delle Risorse Umane, Università Cattolica di Milano

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